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Categorie: Salute

Salvate Maya il documentario Netflix che può aiutare genitori e figli nonostante tutto

Nel 2023, su Netflix è stato rilasciato un documentario intitolato Take Care of Maya ( Salvate Maya) , che racconta la drammatica storia vera di Maya Kowalski, una bambina che, a soli 10 anni, ha iniziato a soffrire di gravi dolori inspiegabili. La storia di Maya è tragica e commovente, e il documentario esplora gli eventi che hanno profondamente segnato la sua vita e quella della sua famiglia.

Anche se è passato più di un anno dall’uscita del documentario su Netflix oggi vi vogliamo raccontare questa storia per due motivi. Il primo: la visione del documentario potrebbe aiutare delle famiglie che cercano risposte per i problemi di salute di un figlio. Il secondo: riflettere.

Salvate Maya: un documentario da vedere su Netflix

Maya era una bambina felice e vivace prima di ammalarsi improvvisamente di una rara e debilitante malattia chiamata sindrome da dolore regionale complesso (CRPS). I suoi genitori, disperati nel cercare una diagnosi e una cura per i dolori insopportabili della figlia, si rivolsero a numerosi medici. Dopo numerosi tentativi, trovarono un medico, in Florida che però spiegò alla famiglia di Maya che per curare la piccola, sarebbe stato necessario andare in Messico. Le prime cure a base di ketamina sulla bambina infatti, non avevano funzionato. La piccola venne portata in Messico dove subì un coma di ketamina, per diversi giorni. Alla fine del trattamento, i medici stabilirono che Maya stava bene e che poteva tornare a casa, dandole un protocollo da seguire. La bambina infatti avrebbe dovuto continuare a prendere dei farmaci la ketamina, come poi ha fatto.

Le infusioni di ketamina alleviarono i dolori di Maya che tornò anche a scuola. Non riusciva a camminare ma era di nuovo felice.

Salvate Maya: dopo la quiete la tempesta

La pace durò poco. Dopo circa un anno, Maya si ammalò di nuovo, e il suo caso venne sottoposto a Child Protective Services (CPS) in Florida, che sospettò un caso di abuso parentale e sindrome di Munchausen per procura, una condizione in cui i genitori fittiziamente causano malattie nei propri figli per attirare attenzione medica. In una serie di eventi angoscianti, Maya venne separata dalla sua famiglia e ricoverata forzatamente in ospedale, dove fu trattenuta per mesi senza poter vedere i genitori.

La dottoressa Smith decise di richiedere l’intervento dei servizi sociali (Child Protective Services – CPS), il che portò alla separazione forzata di Maya dalla sua famiglia e al suo ricovero prolungato. Non solo, i medici non curavano Maya per quello che aveva realmente e la bambina, racconta nel documentario, stava sempre peggio. Questa situazione, caratterizzata dalla convinzione errata che Beata stesse causando la malattia della figlia, innescò un incubo che devastò emotivamente tutta la famiglia.

Durante questo periodo, la madre di Maya, Beata Kowalski, devastata dalle accuse e dal dolore di non poter stare accanto alla figlia, cadde in depressione e si tolse la vita. Beata era arrivata a credere che solo con la sua morte , i giudici avrebbero deciso di ridare Maya alla sua famiglia. La piccola fu costretta a partecipare al funerale della madre che non vedeva da oltre tre mesi perchè a Beata non era concesso incontrare sua figlia. Devastata dal dolore, Maya non riesce a dimenticare quei momenti drammatici e la sua vita ancora oggi, è segnata non solo dalla malattia ma anche dal dramma vissuto.

Il documentario mette in luce i gravi errori commessi dalle autorità e dall’ospedale, mostrando come il caso di Maya abbia avuto conseguenze devastanti su una famiglia già segnata dalla sofferenza. L’incubo di Maya non si è concluso con la morte della madre; lei e la sua famiglia hanno continuato a combattere per la giustizia e per denunciare gli abusi del sistema. Da anni il papà di Maya, la ragazza e suo fratello lottano per avere giustizia.

Il caso di Maya non è un caso isolato

Una giornalista locale, ha scoperto durante le sue indagini che il caso dei Kowalski non era isolato. Diverse altre famiglie avevano vissuto un incubo simile al loro, con accuse infondate di abusi da parte di medici e servizi sociali. Queste famiglie avevano visto i propri figli sottratti sulla base di sospetti infondati, spesso senza una valutazione medica approfondita o il giusto processo.

Molti di questi casi sono stati collegati all’ospedale Johns Hopkins All Children’s Hospital e in particolare alla dottoressa Sally Smith, la stessa che era coinvolta nel caso di Maya. Le famiglie accusavano l’ospedale e la dottoressa di aver preso decisioni basate su ipotesi di abuso senza prove concrete, spesso ignorando le diagnosi mediche precedenti e separando i bambini dai loro genitori per periodi prolungati.

Le rivelazioni della giornalista hanno portato alla luce una serie di casi inquietanti in cui i genitori venivano accusati di sindrome di Munchausen per procura, una condizione in cui si pensa che i genitori causino o fingano la malattia del proprio figlio per ottenere attenzioni mediche. Non solo, alcuni genitori sono finiti in carcere, altri si sono indebitati per difendersi. Ma solo la famiglia di Maya ha accettato di non cedere al “patto” offerto dallo stato, che permetteva, laddove si fossero rispettate tutte le richieste, di riavere i figli ( in alcuni casi).

Le scoperte della giornalista hanno contribuito a rafforzare la causa legale dei Kowalski, sollevando dubbi più ampi sulle pratiche adottate dall’ospedale e sul ruolo della dottoressa Smith. Questi nuovi dettagli hanno spinto l’opinione pubblica a chiedere una revisione delle procedure utilizzate dai servizi sociali e dal personale medico nei casi di sospetti abusi sui minori, e hanno portato a domande su come evitare che situazioni simili si ripetano in futuro. Purtroppo però, almeno per ora, per Maya e per la sua famiglia non c’è giustizia.

Per scoprire di più vi consigliamo la visione di Salvate Maya.

Serena Wolf

Se ho scelto di scrivere è perchè penso di avere tante cose da dire e voglio farlo raccontando quello che succede in questo paese e nel mondo. Voglio farlo con i piedi a terra ma con le mani su una tastiera. Perchè non è importante da dove scrivi ma quello che scrivi e come lo scrivi

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Serena Wolf

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